mercoledì 21 gennaio 2015

Je suis Zombie

Tra una ventina di giorni riprende la seconda parte della quinta stagione televisiva di “The Walking Dead” sarà un grande successo, come le precedenti, e in genere come tutte le forme di intrattenimento che contengono all’interno del plot un’Apocalisse Zombie. 
Ma perché questo successo? Oggi mentre stavo facendo la doccia ho avuto l’illuminazione. L’Apocalisse Zombie ha successo non perché attraverso l’orrore noi sublimiamo le nostre paure mediante una visione catartica di morte e desolazione, ma perché viene descritta un’utopia. Il mondo di Walking Dead è molto meglio del nostro presente.
Nel mondo di Walking Dead non esistono più le religioni, sì certo, all’inizio qualcuno decide di non uccidere gli zombies e di chiuderli nel granaio perché comunque potrebbero essere delle divinità risorte, ma basta perdere qualche familiare nello stomaco dei non morti per cominciare a ragionare in maniera più pragmatica. 
Non devi andare a lavorare nel mondo di Walking Dead.
Non devi pagare le tasse, non devi fare la fila alle poste, non devi aver paura di Equitalia nel mondo di Walking Dead. Non ti telefonano per chiederti se vuoi cambiare contratto telefonico nel mondo di Walking Dead perché i telefoni non funzionano più nel mondo di Walking Dead.
Devi solo stare attento a non farti mangiare vivo, ma tutto sommato la vita è semplice: stai all’aria aperta, cambi spesso casa, ogni tanto spari in testa a qualche zombie che si avvicina troppo, e nessuno ti metterà in galera per questo: sono già morti. I conflitti sociali si risolvono facilmente.
Non esistono i social network, di conseguenza non si passa la giornata inutilmente cercando di avere l’ultima parola chattando nei vari forum nel mondo di Walking Dead.
Non ci sono selfie nel mondo di Walking Dead.
Non ci sono papa, imam e politicanti nel mondo di Walking Dead. I preti superstiti si sono chiusi in chiesa (lasciando i fedeli fuori a farsi masticare). 
Non devi produrre nulla, nel mondo di Walking Dead, non ci sono più fabbriche che sfruttano risorse naturali, e comunque per i superstiti c’è ancora benzina sufficiente per secoli che giace immagazzinata in vari container e pompe di benzina, per non parlare di quella che si può succhiare dai milioni di veicoli abbandonati. 
La natura cresce rigogliosa nel mondo di Walking Dead.
Gli animali si possono riprodurre in pace, sono troppo veloci per essere preda degli zombie, che per altro manifestano poco interesse nei loro confronti, preferiscono mangiare carne fresca di umani. 
Nessuno produce arte nel mondo di Walking Dead, di nessun tipo, a parte qualche canzone davanti al fuoco, di conseguenza non ci sono critici e altri artisti invidiosi di te.
Nel mondo di Walking Dead non ci si interessa di geopolitica, le comunicazioni a lungo raggio sono tutte saltate, non sai cosa sta succedendo negli altri paesi, e non te ne importa una sega. Nel mondo di Walking Dead non sei molto curioso. 
Nel mondo di Walking Dead sei molto ecologico, perché consumi tutto il cibo dei supermercati e dei negozi di alimentari che altrimenti sarebbe stato buttato via.
Non esiste lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, nel mondo di Walking Dead. Qualcuno ha tentato di legare all’aratro degli zombie per usarli come forza lavoro a costo zero, ma si sono dimostrati pessimi operai. 
Al sabato sera, se vuoi fare una seratona, ti cospargi di sangue putrido di cadavere e ti infili in un branco di zombie, che così non ti riconoscono e non ti mordono, ed è un po’ come stare allo stadio o in discoteca, con un po’ di immaginazione.
Se ti rompi le balle di girare sempre intorno ad Atlanta, potresti sempre andare verso il mare, prendere uno yacht o una barca a motore e startene a pescare comodamente al largo, e raggiungere delle isole per i rifornimenti idrici ogni tanto. 
Questo non l’ha ancora fatto nessuno nel magico mondo di Walking Dead, ma se lo faceva finiva anche la serie e il divertimento. 
Se muori, poco dopo ritorni in non-vita come zombie, e chissà, magari da zombie ti diverti pure, nel mondo di Walking Dead.








mercoledì 7 gennaio 2015

Vanitas vanitatis

Mi è arrivato a casa questo librone, in ben due copie.
E’ il catalogo della collezione d’arte della Fondazione Benetton, un catalogo dedicato agli artisti italiani curato da Luca Beatrice.
Si tratta di una commissione, ogni artista doveva donare un quadretto di misura 10x10 cm, io ho fatto il mio.




Ma in realtà il mio è un dittico.


Alludeva al fatto che c’è solo una sottile discriminazione grafica tra ciò che il luogo comune considera arte e come basti un altro tipo di stile, un contorno nero e una semplificazione buffa per fare diventare il disegno automaticamente NOn-arte.
Vabbè, una boutade.
Ovviamente mi sono un po’ dato la zappa sui piedi, perché, pur sapendo che era stata richiesta un unica opera, io ho optato per un dittico.
E così è stata stampata un unica immagine, e il significato dell’opera è diventato incomprensibile.
Ma tanto chissenefrega, interessa forse a qualcuno cosa significa quello che facciamo?
E’ già tanto che una illustre fondazione faccia un gran bel catalogo, sprechi un bel po’ di carta preziosa e si accaparri centinaia di opere (senza pagarle) e le tenga accumulate chissàdove.
La colpa è solo mia, se accetto le regole del gioco non posso certo starmene qui in disparte a lamentarmi sul perché le cose non vanno come dovrebbero.
Il problema è alla fonte, ovvero, perché accettiamo di partecipare?
Per simpatia, per vanità personale, perché si pensa che sia un favore che in futuro verrà ricambiato, perché è un fioretto alla Madonna dell’arte, per distrazione e perché tanto non costa niente.
Ecco questo forse il punto: se non costa niente a noi, forse non vale niente per gli altri. 
Alla fine si è anche contenti di essere parte di questo catalogo, e poi guarda, ci sono tutti…

Sento la forte esigenza di cambiamento e riflessione. 
C’è chi, in un altro ambito (ma molto contiguo), lo sta facendo:
http://www.italianfactory.info/portale/index.php/2014/11/lultima-provocazione-di-bros-le-chiese-non-sono-intoccabili/
Le cose, quando non le guardiamo troppo insistentemente, si muovono…